la negazione della libertà nella società del privilegio crescente



Questi dieci anni di crisi hanno determinato un fatto, come documentato dal rapporto Oxfam: un ulteriore spostamento delle risorse economiche verso chi già deteneva un tenore di vita superiore alla media. Un dato che non è solo tecnico, ma politico. Lo squilibrio tra chi ha e chi non ha, con l'arricchimento dei primi e l'estinzione della classe media, configura uno scenario in cui i rapporti di forza sono completamente cambiati: se negli anni Sessanta un grande manager percepiva in media cinque, sei volte un operaio, oggi il banco è saltato, e la differenza appartiene ormai al dominio dell'incalcolabile.
Come si arriva a questo? La grande massa economica sulla quale non si vuole incidere è di carattere sostanzialmente ereditario: nella società liquida c'è ancora un elemento di grande solidità: l'ereditarietà delle risorse economiche. I beni, le professioni, le così dette “opportunità” sono un ente che passa, in un numero sorprendente di casi, di padre in figlio. Parliamo di lobbies, circoli chiusi, gruppi di potere. It's given potremmo dire. E' la vita, è sempre stato così.
Curioso come vada di moda parlare di diritti ma sia scomparso dal dibattito pubblico il grande scandalo dell'ineguaglianza crescente. Nascere a pochi metri di distanza (prendiamo un quartiere bene di Milano con un quartiere male della stessa città, come esempio comodo) determina in modo ineluttabile (e sempre più ineluttabile) il percorso della vita intera: ambiente culturale, scuole di prestigio o no, attività extracurriculari, sport praticati, possibilità di accedere a università migliori. Non è tollerabile il maltrattamento di un animale (giustamente) ma lo è la deprivazione di occasioni sociali di un essere umano. Sulla base di un solo dato: i soldi.
Il crollo del welfare comporta anche questi inconvenienti. E non stiamo parlando di un rabberciato marxismo fuori tempo massimo, ma del suo esatto contrario: di un'applicazione cosciente ed equa dello stato di diritto laddove fattori indipendenti dalla volontà del singolo determinino situazioni di evidente diseguaglianza.
Scrive Isaiah Berlin, nell'introduzione al capitale Cinque saggi sulla libertà:

Il senso in cui io uso il termine libertà non comporta soltanto l'assenza di frustrazione (che si può ottenere sopprimendo i desideri), ma l'assenza di ostacoli alle scelte e alle attività possibili, l'assenza di ostacoli lungo le strade che una persona può decidere di percorrere.

Per fare un esempio concreto: io considero desiderabile l'introduzione di un sistema uniforme di istruzione generale primaria e secondaria in ogni paese, se non altro per farla finita con le distinzioni di status sociale che attualmente sono create o promosse dall'esistenza di una gerarchia sociale delle scuole in alcuni paesi occidentali, e in particolare nel mio. Se mi si domandasse perché la penso così dovrei addurre quel tipo di ragioni di cui parla Spitz, per esempio le esigenze intrinseche dell'eguaglianza sociale: i danni che derivano dalle differenze di status create da un sistema di istruzione determinato più dalle risorse economiche o dalla posizione sociale dei genitori che non dalle capacità e dai bisogni dei figli; l'ideale di solidarietà sociale; la necessità di garantire al maggiori numero possibile di ragazzi la possibilità di una libera scelta, possibilità che l'eguaglianza di istruzione, probabilmente, rende più agevole.

Isaiah Berlin: un liberale.

La negazione di questa libertà, riprendendo il Kant della Critica della ragion pratica, mina alla base la possibilità di un'etica. Senza libertà di scelta vera non esiste società morale. Se l'era della tecnocrazia è incapace di formulare valutazioni di merito che non contemplino la presenza di una quantità oggettiva e misurabile, forse si dovrebbe tenere presente un fatto: l'oligarchia economica eletta a sistema porta all'estinzione, come in natura. Combinare in continuazione gli stessi elementi genetici porta a disfunzioni; su scala sociale, ad un istupidimento progressivo della classe dominante (in quanto fondata in larga parte sul censo e sull'ereditarietà delle risorse) e all'annientamento di tutto ciò che è via via più subordinato in termini economici. E' un massacro sociale portato avanti scientemente dalla classe economica attuale: è una società del privilegio ereditario. Un fatto sempre più evidente nella differente qualità di scuole e università e nella relativa possibilità di accesso al lavoro. Perché vengono citate sempre le eccezioni ma mai la sostanza numerica dei fatti: si parla dell'uno su mille che ce l'ha fatta partendo da zero, ma non dei cento, duecento, cinquecento che nonostante le buone doti sono andati persi per strada. E questo è un danno oggettivo, per niente irrazionale. O razionale solo nella scala di valori autoriferita che l'oligarchia economica impone a proprio vantaggio: una partita a dadi truccati
Più che una forma di classismo, è una forma di miopia economica. Una delle tante di una società che sotto le apparenze della modernità e della libertà si rivela invece essere il cadavere decomposto di un'idea medievale di uomo e di rapporti di potere e il cui limite pratico sta nel rappresentare un modello estremamente auto protettivo e auto riferito, impermeabile ai mutamenti esterni e tutto teso a dispiegare i propri mezzi con il solo intento di mantenere lo status quo.
Gli anni della crisi per qualcuno sono stati un affare: non bisogna dimenticarlo mai. Più che bruciarsi, i soldi si sono spostati, hanno cambiato concentrazione. E tanto più questa concentrazione è cambiata, tanto più i servizi dello Stato (quelli mantenuti con tasse altissime) sono peggiorati. La direzione? La soppressione del pubblico come concetto. La soppressione della scuola di alta qualità per tutti come diritto. La soppressione della sanità di alta qualità per tutti. E' un movimento ormai ad uno stato molto avanzato e che potrebbe essere ridimensionato solo da un gesto: dal rompere questa catena. Dal prendere coscienze della catena invece che ornarla di fiori.
Ma la tecnocrazia non ha morale, dunque non dispone nemmeno dei mezzi necessari per operare una valutazione in concreto delle questioni sul tavolo: ragionando sul cosa ma non sul come, sulla quantità invece che sulla qualità si finisce per escludere dal sistema di riferimento una sostanziale fetta di realtà, che prima o poi tornerà per forza a reclamare spazio. Uno spazio che dovrà prima o poi essere ripreso.