una foto un racconto


Il cadavere è lì adagiato ai piedi di una colonna; una coperta cenciosa riveste la sagoma di ciò che resta di un clochard, di una persona, di un essere umano. A mezzo metro, la colazione con caffè e brioche in un bar elegante, il banale di una mattina come tutte le altre, cappuccino e giornale, chiacchiere e qualche sms. Ha qualcosa di straniante la fotografia giunta ieri dalla Napoli bene. Qualcosa di violento e insieme gelido, come la miscela di freddo e abbandono che ha annientato la vita di quell'uomo sotto la coperta. E' un'atmosfera irreale, ma insieme familiare: è il ritratto della borghesia in esterno, una novella Golconda magrittiana coniugata nel gerundio italiano; le due facce, vita e morte, benessere e miseria, sicurezza e sopravvivenza, sono lì che ci guardano, in attesa di una risposta. Chi può ci mangia sopra un cornetto che tanto la vita continua. Un energico e prepotente "'sti cazzi" che spiega forse più di tante diagnosi sociologiche la deriva italiana e la dissipazione della cosa pubblica, uno sciupio allegro e solare che ha corroso le fondamenta morali del paese nel sostanziale disinteresse della maggioranza. Arrivano oggi dichiarazioni delle autorità che smentiscono l'accusa di indifferenza: sembra che all'uomo poi deceduto sia stato offerto soccorso, e che questi l'abbia rifiutato. Non c'è motivo di dubitare che sia andata così. E ci sono per contro molti motivi che rendono problematica e qualche volta ingannevole la lettura di una fotografia. Che raggela l'attimo, condensa un complesso di pensieri, azioni, omissioni tutto lì, tutto in un momento. Eppure nemmeno l'ambivalenza di uno scatto riesce ad annullare la spietata oggettività del reale, con quel tragico, cinico doppio: vita morte, benessere miseria.  

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