ai miei tempi si sprecava, figliolo

In uno dei tanti e tutti uguali telegiornali generalisti, colgo come d'incanto la frase: "Per effetto della crisi purtroppo anche gli sprechi diminuiscono." Ed è così che in un sonnolento pomeriggio natalizio finisce per materializzarsi, nell'ingenua forma di un servizio riempitivo, la prodigiosa inversione di senso: il vero peccato (religioso e laico) non è sprecare, ma non sprecare, privarsi della gioia di sbattere nel cesso il di più che non ci garba. Ecco il segno dei tempi. E la televisione, per istinto, per fiuto dello sciatto, annota meticolosa, con quella sua vocina querula. Ma come spesso accade, la voce degli stolti sa essere più puntuale di altre a verbalizzare senza pudore la realtà dei fatti: il rimpianto per lo spreco che fu fotografa le circostanze del presente senza tanti giri di parole, senza alcuna ipocrisia, e riesce a farlo proprio perché mette da parte ogni forma di ragionamento. E versando sugli avanzi del cappone questa frase becera, illumina il vero senso dell'economia su cui la nostra società si è fondata in tanti anni, un'economia fatta di sprechi e di eccedenze, dove la sovrapproduzione di beni trovava sfogo nel consumo a vanvera. Delle tante e spesso drammatiche letture che si possono fare di questi anni di crisi, la televisione ha scelto la più vicina al suo modo di essere: quella più banale e innocua, e forse per questo motivo anche la più feroce. Tanto en passant nell'intrufolarsi tra il panettone e il caffè, quanto vera come solo un calcio nello stomaco sa essere: e se per un attimo riusciamo ad andare oltre al contesto mediatico stupido e incolore, forse possiamo capire come una frase del genere in realtà abbia a che vedere con ciascuno di noi, con quel meraviglioso diritto acquisito di non aver bisogno

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