strategie democratiche


Mi dà un po' di dispiacere e qualche pensiero sentire che il rinnovamento del progressismo italiano (leggi Renzi) stia percorrendo la strada dello slogan e dell'anafora politica. Ripetere a oltranza verbi, sostantivi, concetti che se ne restano lì, appesi al filo dell'oratoria senza spiegare nulla di ciò che siamo e di ciò che faremo mi sembra davvero una povera cosa. E dico questo  dando per scontato il bisogno di rinnovamento della società italiana. E do per scontata anche una certa dose di urto, necessario per scansare dalla poltrona chi ci era abbarbicato con la ventosa. Ma ricorrere a parole d'ordine, copertine patinate in posa con papà e soprattutto giustificare il cinismo politico come un'arma inevitabile non mi pare un grosso passo avanti: ne abbiamo già avuto uno di rottamatore, che campava di slogan, di concetti essenziali, di nemici proverbiali e di liberismo d'accatto, e direi che è stato abbastanza. Ma forse sono io che chiedo troppo, forse le campagne elettorali sono solo questo bombardamento di suoni vuoti, di parole ripetute a oltranza per inculcare bene nel cittadino i cardini elementari dei nuovi processi di potere, ma da un partito che si fa chiamare Democratico e che ambisce a diventare depositario della grande lezione democratica mondiale, da quella americana alle esperienze socialiste europee, sarebbe lecito aspettarsi uno scatto in più, un valore aggiunto che non è certo il giovanilismo facile di un aspirante leader con poco carisma e tanta presunzione. Ciò detto, l'auspicio è che lo sconfitto di turno faccia il bravo, e si metta disposizione del partito alimentando la dialettica interna e fornendo un contraltare costruttivo alla linea direttiva. Le dichiarazioni d'intenti vanno in questo senso, ma si sa i buoni propositi che fine fanno. I passi che portano dalla voce "dialettica interna" a "correntone interno" a "bastoni tra le ruote" a "litigio perenne" a "scissione con nascita di un altro partitino" sono pochi, e tutti facili da percorrere. 

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