quello che resta


Basta guardarsi intorno: la politica di cui dibattiamo, semplicemente, non ha senso. Il ghirigoro doroteo, il "non mi dimetto", l'attaccamento patetico al potere, la massa di scandali che ormai ci lascia indifferenti sono il segno di una decomposizione avvenuta, e forse irrimediabile. La politica ha cessato di esistere. Quando questa morte sia avvenuta non lo so, è materia da storici o da giornalisti in poltrona (meglio i primi che i secondi), ma certo è che il peso specifico delle scelte prettamente politiche è sceso a livelli inediti, e ancora di difficile interpretazione. Se la politica smette di stabilire un canone, fatalmente questo potere passa di mano, e da politica, ovverosia interesse per la polis, per la comunità, si passa a qualcos'altro. La strada, in questo senso, è già segnata: il posto di potere è stato occupato dalla tecnocrazia, con qualche vantaggio immediato e, temo, incalcolabili scompensi sul medio periodo (visto che sul lungo, come va di moda dire, saremo tutti morti). Tecnocrazia significa dominio dei mercati, degli appetiti economici, della produzione sganciata dal fabbisogno e via dicendo, ed è un crescendo talmente sproporzionato che non dà la possibilità di fare previsioni, se non nella forma infantile dei sondaggi o delle proiezioni matematiche, che tengono conto di tutti i parametri possibili ad eccezione dell'uomo. Lo scampolo di politica che ci rimane è degenerato nel pettegolezzo delle dame di corte, nel "mi dimetto non mi dimetto" di qualche consigliere da strapazzo, nei crimini della peggio Italia che ha arraffato una poltrona. Possiamo fare a pugni e disperderci nel raccontare queste frattaglie, che danno fastidio, che sono un'indecenza, ma che non sono la sostanza del problema, o meglio, sono solo il sintomo di una necrosi arrivata allo stadio terminale. La formula del potere tecnocratico, la vera e propria tecnologia del potere che ha ricadute sulla biologia dei corpi e sulle forme sociali, sta già lavorando nell'ombra, ha già di fatto occupato il vuoto lasciato dal cadavere della politica, intenta solo a litigarsi scampoli sempre più assurdi nei dibattiti televisivi e nella retorica del giornalismo di giornata. Bisogna pensare a nuove forme di vita in comune, siamo tutti d'accordo, ma quali saranno queste forme? Come scrivevo tempo fa, io non credo all'ubbidienza cieca alla necessità, che altro non è che lo strumento di controllo ricattatorio su cui la tecnocrazia fonda il suo dominio. E intanto la vita reale - sanità, istruzione, lavoro come possibilità di dignità e indipendenza - scivola sullo sfondo, si riduce ad argomento opzionale, al pari dell'uomo, che ha scelto di mettersi da parte, in attesa di istruzioni. 

0 commenti: