let it snow

A me la neve non è mai piaciuta molto. Almeno fino a oggi. Stamattina ho scoperto che non mi è più antipatica di una stringa che si slaccia o di un colpo di tosse. La ragione di questo cambiamento non la so bene. Forse ho avuto una cognizione improvvisa (anche se la cognizione dovrebbe essere un processo graduale), o forse mi sono stancato di sentire gli organi di stampa che strombazzano la trita "emergenza neve". Allora la neve da oggi mi piace, per pura autodifesa. Ne ho talmente piene le tasche, che ho trovato più di una ragione per farmela piacere. Prima di tutto perché dà un po' di colore alla monocromia grigio sacco di pattume delle nostre strade, tutte uguali, tutte asfaltate nello stesso modo, sterminate periferie prodotte in serie da Torino, a Milano, a Roma, a Napoli. Rotonde, capannoni, ancora rotonde, ancora capannoni. Il Carrefour, la Coop, il Mediaworld. L'unica Unità che forse ci sia riuscita. E poi perché la neve manda un po' a puttane il nostro sbalestrato senso dell'ordine, per cui la siccità prolungata o la così detta neve chimica non fanno notizia ma uno schizzo di neve autentica manda in sollucchero i telegiornali e in fibrillazione i nostri stati d'animo. Allora ho capito che non ho mai avuto vere ragioni per avercela con la neve: ero anch'io vittima di un'idea sbagliata, che vuole il clima al nostro servizio. O che peggio vuole l'omologazione non solo dell'umanità, ma anche dei fenomeni naturali. Un anno solare tutto a venti gradi, senza pioggia, senza neve (solo in montagna, per sciare), senza vento, o con il vento solo per le barche a vela di qualche ricco. Il mondo cesserebbe di esistere. E' un'osservazione banale, ma forse nemmeno tanto. Abbiamo capito che cos'è lo spread - che di fatto non esiste, è una speculazione, un'astrazione - ma abbiamo dimenticato che la neve non serve solo per sciare; ci riteniamo colti e dotti, ma siamo solo degli analfabeti incapaci di accendere un fuoco o di distinguere una foglia di acero da un ramo d'ulivo. Imparando un alfabeto imposto e di fatto inesistente, abbiamo rimosso, messo in un angolo o apertamente frainteso il linguaggio della vita. Che poi è quello che impariamo da bambini, e che per istinto qualsiasi Neanderthal sapeva e rispettava: la ciclicità della natura, la necessità di rispettare le risorse.

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