farewell Steve


Non starò qui a stendere uno dei tardivi e sperticati necrologi per la dipartita di Steve Jobs. E' inutile stare qui a riepilogare i suoi grandi meriti, la sua preveggenza, la sua capacità imprenditoriale. Mi piace ricordare Jobs come un mago dell'immateriale, come un uomo che è stato in grado prima e meglio degli altri di interpretare le possibilità dell'informatica prima e di internet poi, facendolo con creatività e coraggio. Era la faccia buona dell'establishment americano, la mente generosa che ci permetteva di lavorare e di svagarci meglio, che metteva a disposizione la sua sapienza tecnica per consentirci di vivere con un po' più di colore e bellezza nelle pieghe spesso grigie e catatoniche del digitale. La sua arte era costruttiva, positiva, propositiva, laddove l'impresa americana, specialmente negli ultimi tempi, si è contraddistinta più per pastrocchi finanziari e castelli per aria che non per idee e sperimentazioni. Lascia un'eredità complessa il guru della Apple. Un'eredità ancora tutta da capire e da decifrare. Un tesoro fatto di passione ma anche di concretezza, ed è tutto da vedere se chi lo sostituirà sarà capace di farlo con altrettanto successo e altrettanta lungimiranza. Perché fino ad ora è stata la Apple a dettare le tappe e a scandire gli appuntamenti mentre la concorrenza si è sempre trovata, talvolta in modo quasi comico, a dover inseguire, a pasticciare con le applicazioni, a plagiare spudoratamente. Non sono un fanatico Apple, ma un utente, e come tale mi piace riprendere la bella espressione usata anche da Vittorio Zucconi su Repubblica: non ho conosciuto di persona Steve Jobs, ma è come se avessimo lavorato insieme. E, posso aggiungere, ci ho lavorato anche bene.

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