il talento è dire no


Non si può continuare a pensare (o per meglio dire a illudersi) che l'uso delle parole sia innocuo e che non nasconda dietro le sgargianti vesti pubblicitarie una specie di disegno o se si vuole di titanica opera di autoconvincimento. Prendiamo una parola, una parola di gran moda: talento. E' quasi incredibile come un termine così generico e all'apparenza inoffensivo celi dietro di sé una trama di potere spaventosa e penetrante, illusoria e fatiscente: il mito del talento, del fuoriclasse, del genio che è in noi ha un retrogusto falso e ipocrita, che sa di cattiva letteratura, di pessima televisione. Così come il fascismo voleva far credere ad ogni cittadino di essere un guerriero, la società dei consumi del 2011 vuole farci sentire tutti dei cantanti, del ballerini o, nella versione più sofisticata, degli scienziati, degli ingegneri, dei "cervelli", riducendo tutto ciò che siamo, tutto ciò che proviamo e ci piace pensare della nostra vita alla nostra funzionalità produttiva, alla materia più immediatamente "spendibile sul mercato". La mia personale sensazione è che l'evocazione mantrica del talento sia l'equivalente laicista di una preghiera detta in malafede. E a questo punto mi vengono in mente due ipotesi: la prima è che il talento sia un'arma impropria di massa (l'ennesima) con cui tenere buona la folla, inoculandole la falsa speranza di avere in sé i germi per svoltare; la seconda è che siamo davvero al lumicino, non sappiamo più che cosa dire, al punto che il medium di massa televisivo (ma anche internet fa la sua parte in questo) non ha saputo far altro che inventarsi questo nuovo pupazzo, nel tentativo di salvare dal cortocircuito la capra e i cavoli, l'establishment putrescente che governa l'Italia e la possibilità di generare al contempo una riserva a cui attingere in caso di emergenza. Fatto sta che termini come "talento" ma anche come "eccellenza" sono ormai la spia linguistica evidente di un processo di depensamento in fase già molto avanzata, dove la scelta individuale, la capacità personale e tutto quel corredo culturale e cromosomico che risponde al nome di personalità è stato progressivamente assorbito da una direttiva superiore, astratta, imposta non si sa bene da chi, se da una fantomatica eminenza grigia o se piuttosto non sia l'espressione tragicomica e barbara di una nuova eugenetica, a base talentuosa. 

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