hot, sexy & Co.

A volte tende a sfuggirmi la potenza subdola ma penetrante della cronaca gossippara. A volte mi fermo a osservare le riviste in qualche sala d'attesa, mi assalgono news varie ed eventuali su qualche innocua piattaforma di posta elettronica o su qualche sito che all'apparenza dovrebbe trattare di tutt'altro. Schiere di sconosciuti, di mezzi divi, di false dive. Chi paga? Chi sono queste persone, che fanno? Sono elementi di un ingranaggio insensato. Chi paga? Noi. In un modo o nell'altro questo baraccone saprofita succhia risorse da una vasta schiera di utenti, consapevoli e non. Non producono niente, né in termini materiali né culturali, ma sono retribuiti, alimentano una rete di interessi. Come spesso avviene in queste trame sgangherate, il ridicolo irrompe spesso e volentieri in scena (ed è il ridicolo nella sua forma più pura, quella involontaria): i vip in mutande in spiaggia. Mi è capitata una rivista per le mani, che ho sfogliato con l'occhio di un etologo dilettante: pagine e pagine di gente in costume da bagno, spiaggiata sul lettino, vippame nella sua posa più meschina e larvale, dove il culo, la tetta giace ammosciata sulle rive di un intervento estetico riuscito a metà, o al contrario svetta innaturale nella melma biancastra della crema solare. Ma come fa la gente a interessarsi di questa roba? Io, veramente, non so che cosa rispondere. Forse un processo di identificazione, forse un'insana voglia di sovrapporre il generale squallore dell'esistenza allo squallore di queste tremende foto patinate. Senza contare il martirio linguistico: hot, sexy, hard, cool. Caldo, sessualmente stimolante, duro e fresco. Ma si può essere ridotti peggio di così? L'inflazione ormai dilagante di questo sotto sottogenere è forse il lascito culturale più duraturo del berlusconismo, la trovata più bestiale e insieme più efficace del suo impero di carta straccia: non serve un sociologo di fama per andare a capire chi sia l'ispiratore e il deus ex machina di questo tipo di editoria, sia su base cartacea sia a mezzo televisivo. E questa degenerazione è forse il massimo a cui questa strampalata corrente di (anti)pensiero rubricata sotto il nome di berlusconismo possa ambire.

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