chi ha paura di Céline?






Céline sì, Céline no. Grande artista, schifoso antisemita. Sì, però; no, ma anche. In Francia, paese d'origine dello scrittore, ne è nata una polemica niente male, che si è infiammata nei primi giorni luglio, in concomitanza con i 50 della morte di Louise Ferdinand Auguste Destouches, in arte Céline. Sbrogliare la matassa è ancora una volta difficile e insidioso. Ci troviamo di fronte ad una delle pietre angolari del Novecento letterario: insieme a Joyce, Proust, Pound, tanto per dire. Viaggio al termine della notte è senza dubbio uno dei cinque, dieci libri destinati a durare, a rimanere, uno dei libri indispensabili, che serviranno ai posteri per comprendere l'assurdo novecentesco. E' un libro che mischia creatività e biografia, ma che soprattutto rinnova il linguaggio, inventando un'espressività che non è minimalismo anglosassone, ma nemmeno ipetrofia proustiana: è un unicum. Di coraggio e pazzia, scelleratezza e precisione. Se dovessi indicare un autore che è veramente andato al fondo delle cose, che si è sporcato di sangue e merda, di fango e polvere, non potrei che indicare Céline. Perché lui certe esperienze le ha fatte, e poi raccontate. Non tutti possono dire di aver fatto altrettanto. Medico dei diseredati, ultimo tra gli ultimi, senza alibi borghesi o protezioni di comodo. Certo, anche tre libelli antisemiti e un'adesione al nazismo mai ritrattata: un mostro dunque. Strano. Mi viene da dire proprio così: strano. Perché nel Viaggio non ci sono avvisaglie. E' un capolavoro che un nazista non sarebbe mai stato in grado di capire, sia per intensità emotiva che per pietas, per genialità degli scenari e per disperazione di fondo. Chi era Destouches? Siamo davvero sicuri di conoscerlo abbastanza? Non riesco a formulare un giudizio, anche solo letterario. Siamo in presenza di un quadro troppo frammentato. Di certo è pericoloso giudicare un artista confondendo la sua vita e la sua opera: mi si potrà obiettare che è Céline stesso a mischiare le carte. Forse. Ma a questo punto evitiamo ipocrisie e prendiamo in considerazione solo l'aspetto funzionale alla comprensione estetica dello scrittore. Altrimenti altri nomi importanti potrebbero essere scomodati: dal professor Heidegger all'eroe nazionale Pirandello. E devo aggiungere un sospetto finale. Una civiltà che ha paura di attribuire i dovuti meriti artistici ad un antisemita dichiarato (ancorché sui generis come Céline) potrebbe anche essere una civiltà immatura, che ha forse più paura di se stessa che di uno scrittore povero e solo morto cinquant'anni fa. 

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