lingue

Ho cominciato a tradurre il latino parecchi anni fa, da autodidatta, con somma pazienza, qualche sbandata, molto esercizio. Il motivo? Mi sembrava importante. Leonardo da Vinci stesso si mise a studiarlo in età già piuttosto avanzata, lui che proveniva da una formazione tecnica e sentiva di dover colmare quella lacuna. Non mi servivano altre garanzie. Non ho mai creduto alla panzana delle lingue morte, anche perché nove volte su dieci la gente che si esprime in questo modo non ha alcuna pratica linguistica. Non sa, per esempio, che l'espressione "lingua morta" è impropria, per la semplice ragione che una lingua non muore mai, ma si evolve, diventa sempre qualcos'altro, in un percorso storico, sociale, antropologico a dir poco imprevedibile. Non starò qui a parlare di archeologia delle scienze sociali, non starò qui a parlare di storia della lingua. Mi rendo conto di quanto sia difficile comunicare così, in poche righe, il patrimonio di bellezza e di crescita intellettiva a cui si va incontro nello studio di una lingua antica (e anche contemporanea, beninteso, ma le lingue contemporanee godono dello status di "economicamente produttive" e non hanno bisogno di una difesa): si masticano parole che hanno una consistenza diversa rispetto alle nostre, parole che riflettono un sapere profondo, radicato nella nostra cultura e nella nostra coscienza che nel tessuto linguistico trova la sua perfetta collocazione. Non a caso il modo migliore di capire una civiltà passa attraverso lo studio del suo linguaggio, come diceva Foucault: nella lingua si depositano significati, mutamenti sociali, conquiste civili e scientifiche, ma anche crolli improvvisi, decadenza, corruzione. Latino, greco, aramaico, sanscrito e via di questo passo sono la nostra origine, e non, come buffamente sostiene qualcuno, il dialetto, che altro non è che una deviazione locale del latino parlato. Non sono le lingue a morire, ma la nostra capacità di comprenderle e di stabilire con loro un contatto, di farle entrare nel nostro vissuto perché ci rendano più forti, più consapevoli di noi e di quello che, ormai banalmente, viene definito identità. Si possono fare delle belle scoperte, le sorprese non mancano nell'universo linguistico che sta sotto di noi. Non alle spalle, ma sotto: perché ci è dato di camminare solo sulle spalle dei giganti.

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