la voce che si spense

Mi riesce difficile spiegare il mio rapporto con Carmelo Bene. Mi dico sempre che prima o poi dovrò scrivere qualcosa di serio e documentato, invece delle note sparse che gli ho dedicato nel corso degli anni, ma ogni volta sono sempre costretto a rimandare. Un po' per una mia personale idiosincrasia verso gli scritti a tesi, un po' perché non sono sicuro che un saggio piccolo o grande gli avrebbe fatto piacere. L'insegnamento di C.B. è stato così vasto e profondo che non saprei nemmeno con esattezza da che parte cominciare. Prenderei degli appunti, mi rivedrei interviste, spettacoli, film, letture pubbliche, leggerei di nuovo la sua opera scritta, pubblicata da Bompiani in quel volume folle e genialmente assurdo finito sotto la voce Classico. Ma perché Carmelo Bene? Che cosa ha fatto di così importante, che cosa ha detto? E' stato un artista che ha pagato col sangue una vita di artista, sangue con cui ha impastato la terra, e ha creato la sua sabbia, il suo colore, la linfa con cui ha tracciato linee eretiche e sporcato le nostre certezze. Non ha avuto predecessori - qualcuno dice Artaud, ma è un paragone che regge solo in parte - ma tanti motivi ispiratori, musicali, letterari, pittorici, e soprattutto filosofici. L'opera di Carmelo Bene appartiene a pieno diritto ad un contesto culturale squisitamente filosofico, dove il regno dell'idea, o di quell'inconfessato noumeno sia kantiano che platonico, fa da impalcatura al detto e non detto della sua opera. Per me è stato ed è un maestro: di arte, di comunicativa, di pensiero.


Tutta questa premessa per dire che ho rivisto il suo primo lungometraggio, Nostra signora dei Turchi, tratto dal libro omonimo, sempre opera di C.B. Ancora una volta ha saputo spiazzarmi. Più cresco, più mi accorgo che questo film non film, negazione dell'immagine e perfetta macchina per immagini, ha una tavolozza di colori e significati pressoché inesauribile. Dentro a Nostra signora c'è un mondo interiore in continua agitazione, un perenne maremoto di sensi e pensieri, specchio di una mente e al tempo stesso della nostra mente. E' un'opera che va al di là del provocatorio, o che per meglio dire si inscrive nella categoria del provocatorio in senso etimologico: chi guarda è chiamato allo scoperto, non può non rivelarsi. L'ingorgo di richiami e di evocazioni dottissime quasi spaventa: l'universo intellettuale dell'artista si riversa in un caleidoscopio spigoloso e urticante. Ma bellissimo. Ecco, non trovo nessun altro aggettivo: c'è bellezza in ogni fotogramma, c'è arte, sofferenza, impossibilità di dire e urgenza di capire. Il primo lungometraggio di C.B. è un meccanismo esagerato, folle, compresso, che tracima dall'immagine ed esonda in un territorio difficile da definire. Il tentativo di andare oltre al cinema, in C.B., rimane un tentativo estremo, fallito in partenza, grande forse proprio per questa ragione: Nostra signora resta un punto d'arrivo e un punto a sé stante nel percorso artistico beniano, un atollo tempestoso, contro il mondo, contro la vita.

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