la primavera nucleare


Visto che nonostante la tragedia che si sta consumando in Giappone e nonostante l'insensatezza dell'idea già in partenza, stanno tentando in tutti i modi di plagiare l'opinione pubblica in senso pro nucleare, provo a scrivere un po' di domande della serva, o dell'uomo della strada, o di uno che non sa nulla e si basa sugli spizzichi e bocconi che capta in giro.

1) Il nucleare in Italia è stato respinto da un referendum nel 1987. Non mi risulta che i referenda decadano di valore con il passare del tempo. Altrimenti anche il nostro status di Repubblica Democratica sarebbe in pericolo.

2) La Germania, il paese economicamente più produttivo d'Europa, ha programmato di dismettere progressivamente le centrali nucleari fino alla totale chiusura entro una ventina d'anni. Ne consegue che stanno già puntando su altri tipi di risorse energetiche.

3) Qualora l'Italia insistesse su questa linea, riuscirebbe a mettere in piedi le centrali nel migliore dei casi tra vent'anni, quando con tutta probabilità il nucleare sarà già superato e i paesi tecnologicamente più avanzati avranno altre forme di sostentamento energetico.

4) Il problema delle scorie. Nessuno sa come smaltirle. In Italia circolano ancora quelle di venticinque anni fa. Negli Usa si cerca da più di dieci anni di costruire un centro di smaltimento a Yucca, vicino a Las Vegas, ma finora senza successo. Noi in che modo eventualmente ci organizzeremmo per affrontare la questione?

5) Non siamo in grado di gestire la spazzatura ordinaria, non siamo stati in capaci di diffondere la cultura della raccolta differenziata in tutte le aree del paese, perché, in nome del cielo, dovremmo essere invece in grado di smaltire le scorie radioattive?

6) Certamente, nel caso in cui questa storia andasse in porto, ci sarebbe una massiccia rincorsa affaristica alla speculazione e all'accaparramento degli appalti, chi garantirebbe la qualità, la certezza dei tempi e dei risultati? Ricordiamoci della nostra disastrosa situazione logistica (vedi Salerno - Reggio Calabria e simili) e della patologica incapacità italiana di tenere il malaffare fuori dalle imprese pubbliche.

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