l'urlo

Ho sempre creduto nella forza e direi nella necessità della politica. Spontaneamente, non sono mai riuscito a scindere il discorso intellettuale da quello dell'impegno civile, non so se per via della formazione o dell'educazione o di che altro. Istintivamente, fin dagli anni dell'adolescenza, sentivo l'indicazione di Pericle (ma anche di Platone) secondo cui chi non si interessa alla vita pubblica è non solo inutile ma anche dannoso, come un modello non dico assoluto (capisco chi non riesce ad avere una visione politica della società, per quanto ossimorico possa sembrare), ma intelligente, utile, quasi indispensabile per chi, come me, stesse maturando un'idea di mondo e di relazioni tra le persone. Perché amo considerare la politica soprattutto come un sistema di relazioni, dove per relazione non si intende la clientela o peggio ancora il favore assurto al ruolo di istituzione fondante, ma un concetto di inferenze, di scambi, di vissuti condivisi in progetti e sperimentazioni che abbiano come scopo un miglioramento progressivo. In opposizione a Hobbes e Machiavelli, ma in vicinanza con il modello greco, tanto per dire: non sono mai riuscito a concepire uno Stato come un modello artificiale, un Leviatano prodotto da una serie di azioni meramente meccaniche, atte a raggiungere un equilibrio e una forma che se tende alla pace e alla collaborazione lo fa solo per utilitarismo. Ci sono le contingenze storiche ovviamente, come ci insegna Aristotele: la migliore politica è quella che garantisce la migliore forma di governo possibile in una data situazione, ma mantenendo, come dire, una tensione verso l'ideale utopico, ossia l'irrealizzabile governo ideale. Il discorso diventerebbe lunghissimo a volerlo sviscerare anche alla luce delle teorie espresse dal novecento, che qui non cito nemmeno. Ma la mia domanda di fondo, alla luce di tutto ciò, è una sola: che cosa rimane della politica nella prassi di palazzo quotidiana? Nulla. Lo scambio, anche simbolico, tra le ramificazioni in cui si articola una società è inesistente, azzerato, o addirittura banalizzato come una perdita di tempo. Per questo il dibattito politico del nostro paese (non so degli altri) è di basso, bassissimo profilo: perché non ha forza dialettica. E se prendiamo per buono il concetto che vuole l'uomo animale sociale, e dunque individuo che si realizza per mezzo dello scambio con gli altri, siamo costretti a concludere che abbiamo raggiunto il perfetto fallimento di tutte le istanze filosofiche che hanno costruito il pensiero fino ai giorni nostri: vale a dire un patrimonio millenario sprecato in cambio di niente. Una conoscenza barattata per le esangui (diciamo così per puro eufemismo e per non incorrere in querele) figure che popolano la nostra politica: piccole persone, con piccoli progetti e poca grammatica. Chiudo con un'immagine, che può sembrare al di fuori del ragionamento fin qui esposto, ma che secondo me è emblematica di tutta una fase: il discorso del nostro ministro della Pubblica Istruzione diffuso a mezzo youtube: io a questo esponente politico non so che cosa dire. Non so quale codice espressivo usare, quale alfabeto mi possa consentire di entrare in contatto con lei, perché il problema, a questo punto, è anche di codice. E' di sensibilità, di cultura, di interessi. In quelle parole, così povere, così banali, non si trova traccia di politica, non si trova traccia di progetto. Di più, non si trova traccia di cultura. Per quello che mi riguarda nelle parole di quel messaggio si registra l'inquietante grado zero della politica, ammesso che per politica siamo disposti ad assumere qualche modello alto, e non questo scribacchiare mediocre, scadente, che ci trascina in basso come una zavorra e che pretende di essere la nostra guida. C'è una libertà che è una libertà di spirito, di opinione, di pensiero che consente di non sottostare a tutto questo, che permette di scavalcare questi orizzonti da tinello che nella bassezza dei luoghi comuni ci è impossibile individuare: quell'orizzonte siamo noi, con la nostra capacità di pensare, di scegliere, di capire che la realizzazione di una società parte dalla coscienza dei singoli, e che il vizio del pensiero è contagioso, prezioso, difficile da coltivare, ma impossibile da contenere.

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