divagazione

La maggior parte degli autori che amo sono morti, qualcuno anche da migliaia di anni. Detta così, in effetti, suona male. Messa in un altro modo, possiamo dire che la loro voce, la voce di questi scrittori, poeti, pensatori, è rimasta intatta, tanto che ancora oggi possiamo entrare in contatto con il loro mondo come se fossero nostri contemporanei. Ma allora è vero che la letteratura ha questo potere, quello meraviglioso e terribile di tramandare un pensiero? Sì e no mi viene da rispondere. Ci sono autori che non moriranno mai, come Platone o Kant, tanto per fare due nomi, e altri che non hanno superato l'uscio di casa, e sono stati dimenticati. Qualcuno giustamente, qualcun altro per puro capriccio del contesto storico. Ora, nella brevità di queste note, non vorrei ampliare eccessivamente il discorso includendo personalità estinte già da parecchio tempo (i tempi della letteratura sono lunghissimi), ma preferisco limitarmi alla contemporaneità, a quegli autori, cioè, che hanno condiviso una porzione di tempo molto prossima alla nostra, quelli che per intenderci, hanno esaurito la propria parabola esistenziale nel novecento. Tanto per dire, sto leggendo Giuseppe Berto, classico esempio di grande scrittore finito in soffitta, la cui biografia si intreccia nel profondo con la sua opera: guerre, conflitti interiori, stravolgimenti culturali, alienazione; tutti ingredienti tipici del novecento. Leggendolo mi sono reso conto di entrare in contatto con la natura più privata della sua psiche, o se vogliamo della sua esistenza, e ne ho provato quasi imbarazzo, nonostante che Berto sia trapassato ormai più di trent'anni fa. Anche questa è potenza della letteratura: questa forma di disagio che ho avvertito è una forma emotiva che il potere delle parole ha avuto la capacità di evocare, al punto che leggendo Berto vengo a contatto con un mondo sotterraneo che ha a che fare anche con me, e che riesce a urtarmi, come se mi stessi guardando allo specchio e, inaspettatamente, scorgessi qualche tratto insopportabile di cui non mi ero mai accorto, o che mi ero ostinato a negare. La letteratura, allora, diventa il tramite di una sensazione fisica. L'immateriale si materializza in uno stato d'animo che, come diceva Carver, si manifesta con una leggera variazione dei battiti o della temperatura corporea: solo allora la letteratura ha raggiunto il suo scopo, che poco o nulla ha a che vedere con l'emozione d'accatto, quella millantata nei talent show tanto per intenderci, ma con una sfera molto più delicata e autentica, quella che coinvolge lo "spazio emotivo", il territorio sconosciuto in cui il gesto smette di confrontarsi con lo spazio e il tempo e diventa patrimonio universale, atemporale, in una sola parola: condiviso.

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