rileggendo Céline

L'odiato Céline, lo scrittore controverso, il medico alla deriva, l'antisemita senza ragione. Mille facce, mille guai. Esistono opere critiche che provano a catturarne lo sguardo acuto e disperato, ma senza grande successo: nello scrittore francese c'è sempre una lacuna, sempre un riporto che non torna, come se la somma degli addendi fornisse sempre un risultato diverso, ora attendibile ora assolutamente improbabile. Céline è il senso del popolo letto dal suo interno, come notò Sebastiano Vassalli, e per questo motivo la sua scrittura si fa tanto più feroce tanto più inserita negli eventi, come una macchina dotata di ragione che capisce, interpreta ma non può sottrarsi al movimento meccanico. E' sostanzialmente un narratore dell'infamia umana: la sua ragione è presente dove il contesto è più turpe, in una girandola di sensazioni (fisiche e di riflesso linguistiche) sempre più degradate, per così dire sfilacciate: alla fine, in Rigodon, la lingua di Céline è un palpito o poco più, un aggregarsi precario di significanti, di allusioni, che nulla hanno a che vedere con il metalinguismo di Joyce o Gadda, ma con una materia meno ingegneristica e più calda, frutto non tanto di una scelta stilistica, quanto piuttosto di un obbligo emotivo. Céline vive di questi soprassalti: rabbiosi, onirici, completamente straniati. Eppure ad alta gradazione comica. Comica, sì. L'analisi spietata della realtà diventa amaramente divertita proprio dove l'immondo si confonde con il futile e il terribile. L'orrore, in Céline, è smitizzato, ridicolizzato. Perché immerso nell'umano. Non c'è un Dio cattivo, e, forse, nemmeno persone cattive. C'è solo un'umanità ottusa, stupida, che nella sua smania di cose inutili, di orpelli, di un distorto senso della dignità, calpesta, uccide, tracima da sé. Viaggio al termine della notte, ma anche Morte a credito sono questi affreschi lividi e opprimenti: sono grandi metafore di un caos casuale che possiede la natura degli uomini. Ecco perché il Céline narratore è fatalista e assolutore: c'è rabbia in lui, ma anche disincanto. Sa che è così, che non potrebbe essere altrimenti. "Di noi se si conserverà la parola merda sarà già una gran cosa." La sua bestemmia non è urlata, ma sommessa, e quindi tanto più sentita.

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