naufragi

Fa un certo effetto sentire la dirigenza del Milan parlare per l'ennesimo anno di campagna acquisti morigerata, esangue, con pochi investimenti e tanto materiale di recupero. Suona curioso perché il calcio del giorno d'oggi, quello dei milioni, dei diritti televisivi, del merchandising impazzito, delle spa e spesso dei debiti, l'ha in un certo senso inventato Berlusconi, con quelle sue faraoniche presentazioni in elicottero, i suoi colpi di mercato miliardari, la panchina lunga e così via. Il giocattolo però si è rotto, l'elastico è stato teso all'ennesima potenza fino a spezzarsi in due lembi. La partita ora è stare a galla, svendere, mobilitare. Tentare il colpo di fortuna affidandosi a qualche esordiente assoluto. A ventidue anni da quel mitico, primo scudetto, la situazione complessiva dei club europei è molto cambiata. Molte squadre di blasone sono sull'orlo del fallimento, altre si affrettano a cedere quote societarie per avere un po' di ossigeno, mentre la baracca affonda tra un decreto salvaclub e l'altro, tra uno scandalo e l'altro. E nonostante ciò il calcio, oggi, in Italia, rappresenta il maggior cuscinetto sociale che esista: la distrazione massima, la carta assorbente che distoglie l'attenzione del pubblico per proiettarla nella dimensione assolutamente virtuale del gioco e dei milioni, dei calciatori e delle veline. E l'ex ricco Milan è il primo a farne le spese, anche se seguendo un certo ordine logico: il primo club a rivoluzionare le strategie societarie e comunicative del mondo del calcio è anche il primo a pagare il contrappasso, finendo nell'oblio dei soldi che non ci sono. Hai voglia ora a invocare moralità. Proprio ora che anche gli altri si sono adeguati al tuo modello.

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